L’attuale cortocircuito della politica, come spiega bene Calenda, sta nel fatto che, dall’avvento dei 5s e, ancor prima, dei social, i politici hanno smesso di offrire soluzioni, e si sono limitati a fare da eco alle lamentele espresse dai cittadini in quegli immensi bar che sono diventati i social media.
I politici hanno smesso di avere una visione e di raccogliere voti per il suo raggiungimento e hanno scelto la strada più comoda di raccogliere il consenso semplicemente per l’immedesimazione che suscitavano ripetendo gli stessi concetti espressi nei bar virtuali.
Il passo successivo è stato quello di una classe politica serva delle tendenze social del momento, che gli garantissero di continuare a surfare sulla cresta del consenso, anche a scapito della coerenza.
Memorabile in questo senso sono state le dichiarazioni durante la pandemia del Covid-19, in cui un giorno bisognava aprire tutto, e quello successivo chiudere tutto, per poi riaprire immediatamente di nuovo tutto, a seconda del trend dei vari # sui social.
Io continuo a credere invece che la classe politica dovrebbe offrire soluzioni e non ripetere i problemi, perché quello li conosco già, e non ho mandato in parlamento e poi al governo, persone solo per ricordarmeli, ma per provare a risolverli secondo un visione di più lungo periodo.
Al politico chiedo poi di elevarsi rispetto al livello medio della collettività, per cercare soluzioni ai problemi che magari non avevo nemmeno pensato, perché non è detto che i desideri espressi dai cittadini rappresentino la migliore scelta, anche per perseguire il loro stesso interesse.
Come sosteneva Henry Ford, a cui dobbiamo – nel bene e nel male – la rivoluzione della mobilità personale con l’invenzione dell’automobile come mezzo di trasporto di massa, se avesse chiesto ai suoi clienti cosa desiderassero non avrebbe inventato l’auto – perché non tutti erano in grado di avere la visone necessaria per comprendere che il futuro sarebbe passato attraverso l’utilizzo di un mezzo a motore – bensì solo cavalli più veloci.
In italia, questo cortocircuito è aggravato dal fatto che, secondo le statistiche, il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale, nel senso che sa leggere, scrivere (altrimenti sarebbe definibile analfabeta) ed esprimersi in modo sostanzialmente corretto. Non è in grado, però, di raggiungere un adeguato livello di comprensione e analisi di un discorso complesso.
Il dato è impressionante, ma lo diventa ancora di più se rapportato ai politici eco di cui sopra. Da qui il cortocircuito della politica, che porta l’Italia ad avvitarsi in una spirale perversa verso l’ignoranza.
Come uscirne.
Credo che esista una soluzione di lungo periodo, particolarmente efficace e improcrastinabile, se non si vuole colare a picco , e una di breve periodo, più difficile da attuare ma propedeutica alla prima.
Quella di lungo periodo è facile ed è stata già intrapresa da tutti i paesi in via di sviluppo: investire soldi nell’istruzione, in modo da invertire il dato statistico e, di conseguenza, avere cittadini più consapevoli che eleggono politici migliori.
Nell’immediato, occorrerà invece contrastare i portatori di soluzioni semplici a problemi complessi, cercando di eleggere persone che non si limitino ad assecondare gli istinti più immediati. Dovremo anche impegnarsi in prima persona, ognuno nel proprio piccolo e per quanto gli è possibile, a non cadere nella trappola del pensiero da bar.
Così magari riusciremo ad avere una classe politica capace di governare, e che abbia voglia di tornare a investire sulla scuola per avere fra qualche decennio cittadini più consapevoli.
Perché il problema della classe politica non è di quantità, ma di qualità. Potranno anche essere meno, ma se non saranno migliori le cose non cambieranno.
Anzi, meno saranno e più saranno condizionabili e controllabili.